Dopo circa due mesi di servizio volontario come medico nell’U.O.C. di Geriatria dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre, ritengo opportuno fare una breve verifica, per chiarirne alcuni aspetti e precisarne meglio gli obbiettivi, che inizialmente erano stati indicati nel privilegiare il rapporto medico-paziente e, in particolare, nel dare un contributo alla promozione della compliance delle persone affette da demenza e dei loro familiari nel periodo di ricovero ospedaliero. Il che rientra tra gli obbiettivi dell’Associazione Alzheimer Venezia, di cui faccio parte e con cui è stata stipulata una forma di convenzione per il mio servizio volontario.
Per prevenire eventuali equivoci, vorrei mettere più chiaramente a fuoco l’obbiettivo di questo mio servizio, che non è destinato a migliorare il normale rapporto medico-paziente nel Reparto, poiché non credo che abbia bisogno di risorse esterne e, comunque, non spetterebbe certo a una mia iniziativa né valutarlo né migliorarlo.
Senza alcuna pretenziosità, il mio servizio vuole rivolgersi alle persone ricoverate, che si trovano in uno stato di demenza conclamata o anche di disturbi cognitivi o di semplice disorientamento, dovuti nell’anziano non solo a una specifica patologia, ma anche al fatto stesso di trovarsi ricoverato. Si vuole dare un supporto possibile a tale stato psicofisico, che incide nella genesi multifattoriale e nell’aggravamento della sindrome clinica della fragilità dei pazienti anziani, soprattutto ospedalizzati, allo scopo di contribuire a prevenire quello scompenso a cascata, che influenza negativamente, e a volte in modo irreversibile, l’outcome del ricovero,
La relazione con le persone che presentano problemi cognitivi e di disorientamento risulta spesso problematica se non impossibile, poiché si stabilisce un solco sempre più profondo tra il mondo in cui vaga la persona con demenza e quella “normale”, che cerca di riportarla alla realtà. “Sono gravi le sofferenze psicologiche e l’ansia per il futuro vissute dalle persone con demenza, le quali – come scrive il dott. Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell’Aulss 3 Serenissima, nell’introduzione al libro “Conoscere la demenza” – non solo hanno paura di dipendere sempre più dagli altri e di perdere il controllo della loro vita, ma spesso convivono con un disorientamento dovuto alla progressiva difficoltà di <<riconoscersi>> e di <<riconoscere>>”.
E qui si innesta l’esperimento, inteso non in senso laboratoristico, ma come nuova esperienza di vita, personale e professionale, che vorrei condurre: cercare di instaurare una relazione empatica, che scenda dentro il disorientamento delle persone con questa infermità, per incontrarle là dove loro sono. Il suggerimento viene dalla vignetta dello stesso citato libro, dove al nonno, che chiede: “Il bagno … dov’è il bagno?”, il nipotino risponde: “Vieni, nonno, ti ci porto io … lo sai che la mamma sposta sempre tutte le cose”. In questo incontro interpersonale, che avviene nel suo mondo con pochi o senza riferimenti, la persona con demenza potrebbe essere aiutata a riconoscersi nel riconoscere, a recuperare una propria identità nel confronto con l’altro.
Un esperimento in cui il mio essere già anziano potrebbe favorire l’empatia e l’essere medico potrebbe consentire una restituzione sul piano clinico, mentre l’essere volontario è indispensabile per poter fare da cavia. Infatti in questo esperimento l’unica cavia è lo stesso sperimentatore, mentre per “il malato di demenza” non può che realizzarsi un aspetto di quanto auspicato dal Comitato Nazionale per la Bioetica, che “venga sempre riconosciuto e trattato come persona in tutte le fasi della malattia”.
Analogo beneficio potrebbe ricadere anche sui familiari e sul loro rapporto con la persona affetta da disturbi cognitivi.
Nel prosieguo del progetto resto a disposizione per indispensabili confronti con i colleghi, anche per apporti critici e integrativi.
Venezia-Mestre 5 giugno 2017
Dott. Venerando Cintolo
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